Fotografia d’architettura, Fotografia d’interni, Verona, ArchitettiVerona;
Una casa di pietra abbarbicata sulle pendici del Baldo è oggetto di un recupero e ampliamento all’insegna di un controllo formale rigoroso e tagliente.
Progetto: Arch. Luigi Scolari
Testo: Arch. Lorenzo Marconato
Lo confesso: ho sempre grandi attese, e al contempo grandi timori, quando mi approccio a visionare un intervento in un contesto così delicato come quello dell’alto lago di Garda. Le pendici sono ripide, lo spazio è poco, ameno e in equilibrio precario tra cielo e flutti. Ogni mossa, se non compiuta con delicatezza estrema, rischia di far rotolare rovinosamente tutto, come un masso sul fianco scosceso del monte Baldo, giù negli abissi del Garda, con un ineludibile tonfo di cui è impossibile non sentire il fragore.
A differenza di uno spaventoso rumore, il silenzio passa quasi sempre inosservato, perché non turba certo la quiete del luogo. Così si può dire di questa realizzazione, notevole per la sobrietà e per il rispetto con cui si rapporta con il contesto.
Se si vuole dunque conoscere il progetto – peraltro ben nascosto ai più – non si può prescindere dal conoscere l’ambiente entro il quale è inserito, ovvero le ripide pendici del fronte occidentale del Monte Baldo, a debita distanza dal centro abitato più vicino e dalla trafficata riva del lago. Proprio per la conformazione aspra del terreno, in forte pendenza e densamente arborato, i segni lasciati nel tempo dall’uomo sono rarefatti: poche case sparse, rade e ben nascoste, quelle stesse costruzioni che, fino a non moltissimo tempo fa, fungevano da ricovero per qualche pastore e i suoi animali. Poetico presepe, con il lago in fronte: pacifico o ruggente, a seconda della stagione e delle giornate.
Degna di nota, proprio per la sua tipicità e il suo carattere vernacolare, è la costruzione originale tutelata e ampliata da questo intervento. Niente di più che uno dei ricoveri sparsi qua e la sul versante, con forti membra in sasso vivo, costituito di una cantina seminterrata (presumibilmente una vera e propria stalla), con un solo piano fuori terra, dove venivano lavorati i prodotti degli animali e dove trovava ristoro il loro pastore. Una bella premessa insomma, se non fosse per il fatto che questa costruzione, oltre ad essere raggiungibile soltanto da una strada molto impervia, anni addietro era stata in qualche modo manomessa da un intervento di recupero realizzato con estrema e forse comprensibile superficialità .
Nell’ottica della valorizzazione della costruzione esistente, due sembrano essere le regole che guidano la composizione: l’integrazione totale con il luogo e l’addizione del solo indispensabile, purché riconoscibile. Ho percepito, nell’amabile chiacchierata con l’architetto e con il committente, quanto ostica sia stata l’impresa di raccordare questi principi con l’ampollosa rigidezza di certi regolamenti e di certe procedure. Ad ogni buon conto, se il risultato è ottimo, lo si deve proprio alla perizia e alla dedizione del progettista, a quella delle maestranze impiegate – in buona parte importate dall’Alto Adige – e anche al fondamentale e stretto rapporto di fiducia e collaborazione con il committente, non casualmente proveniente da oltre confine.
La costruzione la si sorprende alle spalle, venendo dalla strada. Non la si direbbe così articolata e moderna, forse distratti dal magnifico panorama, se un lucernario a filo dell’erba del giardino retrostante, contornato di pietra bianca, non tradisse la presenza nelle viscere del terreno della mano dell’uomo. Le balze, se non in orizzontale, sono troppo ripide per essere percorse a piedi, e il visitatore è guidato semplicemente verso il basso dal naturale percorso che cinge il lato nord della casa e dall’accattivante visione di un artificio architettonico di rara bellezza che, quasi come una lanterna, decora sospesa il fronte principale. Si tratta di una piccola veranda, un volumetto aggiunto fatto dell’alternarsi di superfici trasparenti e di fasce in acciaio corten, che poggia su una pedana parzialmente a sbalzo. Perfetto elemento di raccordo tra la vita che si svolge all’interno della casa e l’ambiente circostante. Essa è in equilibrio stabile sul terreno su cui giace, in relazione con il vecchio edificio di cui è parte integrante, per proprie le dimensioni e per le cromie, che in armonia si ritrovano in tutti gli angoli della costruzione.
Ecco che, attirati da questa lanterna, si scopre, incassata in una balza del terreno immediatamente adiacente al vecchio cascinale, la nuova porta d’ingresso all’edificio. Anch’essa rivestita in acciaio corten, che le concede di ben mimetizzarsi con i colori del terreno, di cui però rappresenta, con una certa positiva dirompenza, una intera sezione.
L’ingresso nel ventre della terra è stupefacente per la linearità e per la cura con cui è stata realizzata questa sorta di bussola in legno, ma ancora di più per il fatto che, pur addentrandosi nel sottosuolo, si fa apprezzare particolarmente per la grande luminosità , offerta dal lucernario e dalle strette pareti del bianchissimo corridoio. Luce intensa sotto terra: che formidabile intuizione!
Dall’ingresso e dal corridoio si ha accesso a due camere da letto (di cui una ricavata nella vecchia stalla), due bagni, a un locale per gli impianti e a un ripostiglio, e al disimpegno passante verso la veranda, che contiene una essenziale scala in acciaio smaltato e legno verso il piano superiore del vecchio edificio, ove si sviluppa la parte cosiddetta a giorno dell’abitazione. Salita la scala si attraversa un gradevole cucinino, posto su una sorta di mezzanino, arrivando giusto qualche gradino più in alto nel living con un caminetto dall’imbotte in corten, e con una finestra che ritrae uno scorcio di lago in tutta la sua immensa bellezza. Il continuo gioco di rimandi tra interno ed esterno, che ha la sua sintesi nella veranda, è la chiave per lasciar vivere in simbiosi l’edificio con il proprio ambiente.
Pochi elementi utili, un equilibrio e una raffinatezza rari, fatti di intelligenti dettagli, di dimensioni maniacalmente calibrate che rarissimamente capita di vedere in forme così convincenti. Tutto racchiuso in una piccola costruzione. Un progetto in cui ogni cosa sembra al posto giusto, tanto da rendere superfluo ogni tentativo di descrivere ciò che le immagini possono raccontare. Eppure si è aggiunto solo ciò che è indispensabile, rendendolo riconoscibile, leggendo e valorizzando così ciò che di estremamente buono già c’era.
E vi sembra poco? E vi sembra difficile?
Insomma non vi è posto dove non si possa fare qualcosa di buono, senza dover per forza mettere la propria firma, con una penna che spesso perde inchiostro ad ogni mossa. •
Articolo su ArchitettiVerona: Il minimo indispensabile;